IVA al 5% sulle cessioni di opere d’arte: sogno o (finalmente) realtà?

20 Maggio 2025

Per il mercato dell’arte italiano è tempo di correre ai rimedi per ridurre lo squilibrio fiscale in materia IVA rispetto agli altri Paesi.

Infatti, mentre la vendita di creazioni artistiche è soggetta in Italia all’applicazione dell’IVA con aliquota ordinaria del 22%, in Francia si è deciso di ampliare – a decorrere da gennaio 2025 – il sistema agevolato del 5,5% e in Germania di applicare all’aliquota IVA ridotta del 7%.

Buone notizie in tal senso sembrano arrivare dal Governo che, con uno sguardo rivolto all’estero, sta accelerando il processo di riduzione dell’aliquota IVA applicabile alle cessioni delle opere d’arte, permettendo in questo modo di dare maggiore slancio al mercato delle opere d’arte.

Questa importante riduzione dell’aliquota IVA applicabile alle transazioni nazionali ed internazionali per poter competere con gli altri Stati membri che risultano avvantaggiati dall’applicazione di aliquote super ridotte è prevista dalla legge delega per la riforma fiscale (legge n. 111/2023) che all’articolo 7, comma 1, lett. e) dispone che il legislatore delegato deve introdurre delle modifiche alla legislazione corrente allo scopo di prevedere delle regole che:

  1. riducano l’aliquota IVA all’importazione di opere d’arte;
  2. estendano l’aliquota ridotta a tutte le cessioni interne di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione.

Fino ad oggi, soprattutto per ragioni di onerosità della modifica, non si è ancora intervenuto.

L’ipotesi a cui sta lavorando il Governo è quella – come detto – di ridurre l’aliquota da quella ordinaria al 22% a quella agevolata del 5% attraverso l’emanazione di un decreto-legge (che dovrebbe arrivare a fine maggio) si potrebbe dare un impulso immediato, con effetti già dalla seconda parte dell’anno. Anche se in argomento, il Mef sta pensando di spostare tale intervento in un apposito DLgs attuativo della legge delega per la riforma fiscale, che dovrebbe contenere anche la modifica al regime delle plusvalenze derivanti dalla vendita di opere d’arte.

Infatti, pur avendo generato nel 2023 un giro d’affari diretto di 1,36 miliardi di euro, l’industria dell’arte italiana sta vivendo una lenta contrazione. Negli anni recenti, le 1.618 gallerie d’arte e i 1.637 antiquari operanti sul suolo nazionale hanno conosciuto una progressiva riduzione sia della loro quantità sia dell’introito effettivo, a causa – chiarisce lo studio condotto da Nomisma insieme a Intesa Sanpaolo – non solo dell’incremento dei costi di gestione ma proprio per via dell’imposizione non conforme a quella degli altri Stati europei.

Secondo le stime presentate, se l’aliquota IVA non viene rimodulata al ribasso, il settore potrebbe subire una perdita fino al 28% del fatturato, con un ribasso di circa il 50% per quel che riguarda le gallerie di minori dimensioni.

L’ipotizzata riduzione al 5% dell’aliquota IVA – secondo le simulazioni di Nomisma – in un periodo di soli tre anni il fatturato complessivo generato da gallerie, antiquari e case d’asta aumenterebbe fino a raggiungere 1,5 miliardi di euro, con un impatto positivo stimato intorno 4,2 miliardi di euro.

Infatti, la riduzione dell’aliquota IVA «favorirà le transazioni nel mercato interno e potenzierà la competitività dell’export italiano a livello europeo», ha sostenuto il Ministro della cultura, Alessandro Giuli, dicendosi d’accordo «sulle conseguenze distorsive della previsione di un’aliquota diseguale sul territorio europeo: l’effetto dumping, a danno degli operatori culturali e dell’intera filiera dell’arte – prosegue il ministro – arreca pregiudizi in capo a coloro che creano le opere (artigiani, restauratori, studiosi), a coloro che le custodiscono e consegnano (i trasportatori) e a coloro che le espongono rendendo conoscibile la bellezza (le organizzazioni fieristiche). Gli studi di settore mostrano quali sarebbero le gravi conseguenze del mancato intervento per gli operatori dell’arte: diminuzione degli investimenti; perdita di attrattività commerciale; trasferimento degli operatori all’estero in regimi più competitivi».

RDP

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