Riforma della fiscalità internazionale pubblicata in GU

30 Dicembre 2023

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 2023. n. 301 del decreto legislativo del 27 dicembre 2023, n. 209, la riforma della fiscalità internazionale entra in vigore.

Ma andiamo nel dettaglio delle singole novità introdotte dal DLgs n. 209/2023.

Residenza delle persone fisiche

Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti.

Per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.

Pertanto, una persona fisica sarà considerata fiscalmente residente nel territorio dello Stato e quindi ivi tassata sui redditi ovunque prodotti (in ossequio al principio della wordwide taxation), se per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno ha:

  1. la residenza ai sensi del codice civile;
  2. il domicilio, da intendersi – secondo quanto previsto dal legislatore delegato - unicamente come il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona;
  3. è presente (di fatto introducendo un ulteriore elemento fattuale),

nel territorio dello Stato.

Ai fini del soddisfacimento del requisito temporale: in merito al concetto di “maggior parte del periodo d’imposta” il legislatore delegato prevede espressamente che si debbano considerare anche le frazioni di giorno.

Infine, viene eliminata la presunzione assoluta di residenza fiscale quale conseguenza dell’iscrizione di una persona fisica alle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta.

In altri termini, il criterio di collegamento tra il contribuente e l’scrizione anagrafica, per ricondurre la residenza nello stesso nel territorio dello Stato può essere superato, concedendo al contribuente la possibilità di fornire prova contraria in merito al suo effettivo domicilio.

Residenza delle persone giuridiche

Sono considerati fiscalmente residenti in Italie le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo di imposta, ivi hanno alternativamente:

  1. la sede legale,
  2. la sede di direzione effettiva;
  3. gestione ordinaria in via principale.

La sede di direzione effettiva deve intendersi con la sede ove si realizza la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso; mentre la gestione ordinaria in via principale coincide con il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso.

In continuità con la disciplina attuale, i criteri di collegamento con il territorio dello Stato – valevoli ai fini dell’identificazione della residenza fiscale in Italia – sono tra loro alternativi, cosicché sarà sufficiente che ne sia soddisfatto uno solo di essi, per la maggior parte del periodo di imposta, perché possa ivi configurarsi la residenza fiscale della società o dell’ente.

La nozione di “sede di direzione effettiva” coincide con il luogo ove vengono assunte le decisioni strategiche e determina il recepimento testuale dell’ordinamento italiano del criterio di localizzazione della residenza delle imprese adottato nella totalità delle Convenzioni contro le doppie imposizioni italiane ad oggi in vigore. La sede di direzione effettiva rappresenta anche il criterio al quale nelle Convenzioni si rimanda in ipotesi di doppia residenza, quale “Tie breaker rule”, anche nell’ambito, ove prevista, di una procedura amichevole. 

Passando alla nozione di “gestione ordinaria in via principale” nel territorio dello Stato, la stessa è identificabile nel continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso, si può sostenere che l’inserimento dello stesso permette all’Italia di allinearsi all’orientamento espresso da altri Paesi europei, che lo impiegano per stabilire il collegamento personale all’imposizione nei casi in cui vi è un effettivo radicamento della persona giuridica sul territorio.

Semplificazione della disciplina CFC

a) Verifica semplificata

L’art. 3 del DLgs n. 209/2023 incide sull’attuale formulazione dell’art. 167 del TUIR modificando il presupposto inerente alla congruità della tassazione del soggetto controllato, di cui al co. 4, lett. a). La disciplina attualmente in vigore prevede che la disciplina CFC si applichi ove la tassazione effettiva del soggetto controllato non residente sia inferiore alla metà rispetto a quella cui lo stesso sarebbe assoggettato se fosse residente in Italia (Virtual Tax Rate, “VTR”). Dunque, ove l’ETR è inferiore alla metà rispetto al VTR si applica la tassazione per trasparenza in capo alla capogruppo.

La nuova lett. a) semplifica questo punto, prevedendo che dovranno considerarsi residenti in Paesi a fiscalità privilegiata i soggetti controllati esteri sottoposti ad una tassazione effettiva inferiore al 15%, in linea con l’ETR prevista dalle GloBe rules.

A tal fine, il livello di tassazione è calcolato sulla base del rapporto tra: (i) la somma delle imposte correnti dovute e delle imposte anticipate e differite iscritte nel bilancio d’esercizio del soggetto controllato esteroe (ii) l’utile ante imposta risultante da tale bilancio.

La semplificazione deriva dal fatto che per il calcolo dell’ETR sarà sufficiente far riferimento a quanto risultante dal bilancio, senza le ulteriori complicazioni previste dalla normativa attuale, e non sarà più necessario calcolare il VTR.

Per poter accedere a suddetta semplificazione è però necessario che vengano rispettate le seguenti condizioni:

  1. il bilancio di esercizio dei soggetti controllati non residenti deve essere oggetto di revisione e certificazione da parte di operatori professionali a ciò autorizzati nello Stato estero di localizzazione dei soggetti controllati non residenti;
  2. gli esiti di tale certificazione devono essere utilizzati dal revisore del soggetto controllante ai fini del giudizio sul bilancio annuale o consolidato (c.d. “Condizione di Revisione”).

In caso di mancanza della condizione della revisione si applicheranno i criteri di verifica della congruità della tassazione del soggetto controllato estero attualmente in vigore.

b) Imposta sostitutiva del 15%

La seconda novità introdotta dall’art. 3 riguarda l’introduzione di un nuovo co. 4-ter, dell’articolo 167 del TUIR, che ammette la possibilità per i soggetti controllanti di evitare la verifica dell’ETR del soggetto controllato estero optando per l’applicazione di un’imposta sostitutiva pari al 15% dell’utile contabile netto dell’esercizio, calcolato senza tenere in considerazione le imposte che hanno concorso a determinare detto valore, la svalutazione di attivi e gli accantonamenti a fondi rischi (per impedire che vengano adottati meccanismi per ridurre la base imponibile). Anche in questo caso deve essere soddisfatta la condizione di revisione e certificazione del bilancio della società estera.

L’opzione per l’imposta sostitutiva si applica a tutte le controllate estere non residenti (all in, all out) che ricevano redditi da passive income per oltre un terzo, e permanendo il requisito del controllo ha durata per tre esercizi, ed è irrevocabile. Al termine del triennio, in mancanza di revoca, l’opzione si intende tacitamente rinnovata per il successivo triennio.

c) CFC e Global Minimum Tax

Ai fini di coordinare i differenti meccanismi previsti da CFC e Global Minimum Tax, il legislatore ha, infine, previsto l’introduzione di un nuovo comma 4-bis all’art. 167 del TUIR, secondo il quale ai fini del calcolo dell’ETR della controllata rileva anche la QDMTT. In questo modo si garantisce che i redditi della controllata estera siano sottoposti a tassazione prima nello Stato di residenza, nel caso in cui lo stesso adotti la QDMTT, e solo in via residuale – e quindi in caso di mancanza di QDMTT, o qualora nonostante l’applicazione della stessa residui un eccesso di profitti tassati al di sotto della soglia minima del 15% - al livello della controllante mediante il meccanismo previsto dalla CFC. Tale previsione, inoltre, attribuendo rilevanza a quanto versato all’estero a titolo di QDMTT, garantisce che l’utile della controllata non venga parzialmente sottoposto a doppia imposizione economica a seguito dell’applicazione della disciplina CFC.

Incentivi fiscali compatibili

Viene introdotta una norma di carattere generale che consente di applicare gli incentivi fiscali, compresi quelli già vigenti, in favore dei titolari di reddito di impresa o di lavoro autonomo aventi la sede o la stabile organizzazione in Italia solo se compatibili con la normativa europea in materia di aiuti di Stato e se debitamente autorizzati dalla Commissione: tale norma fissa le condizioni alle quali sono concessi incentivi fiscali ai soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo e di impresa aventi la sede o una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, nel rispetto dei principi di cui agli art. 107 e 108 del TFUE.

In dettaglio, gli incentivi di natura fiscale sono riconosciuti esclusivamente alle seguenti condizioni: (i) se autorizzati dalla Commissione europea; (ii) se previsti nel rispetto delle condizioni di cui al capo I e II, nonché delle condizioni delle specifiche categorie di aiuto di cui al capo III, del regolamento UE n. 651/2014; (iii) se previsti nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dal regolamento UE n. 1407/2013 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 TFUE agli aiuti de minimis, dal regolamento UE n. 1408/2013 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 TFUE agli aiuti de minimis nel settore agricolo e dal regolamento UE n. 717/2014 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 TFUE agli aiuti de minimis nel settore della pesca e dell’acquacoltura.

Nuovo regime degli impatriati

Viene previsto in favore dei soggetti che conseguono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2024 un nuovo regime fiscale per gli impatriati che sono in possesso dei seguenti requisiti:

  • non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il trasferimento nel territorio dello Stato. Se il lavoratore presta la sua attività lavorativa nel territorio dello Stato in favore dello stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento ovvero in favore di un soggetto appartenente allo stesso gruppo, il requisito della permanenza all’estero è di:
  • sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  • sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  • si impegnano a risiedere fiscalmente nel territorio dello Stato per almeno 4 anni. Laddove la residenza fiscale in Italia non sia mantenuta per almeno quattro anni, il lavoratore decade dai benefici e l’Amministrazione finanziaria provvede al recupero di quelli già fruiti con applicazione dei relativi interessi;
  • prestano l’attività lavorativa per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato;
  • sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione, come dal come specificati nel DLgs del 6 novembre 2007, n. 206, per le professioni regolamentate, e nel DLgs del 28 giugno 2012, n. 108.

L’accesso al nuovo regime degli impatriati fa sì che i redditi di lavoro dipendente, assimilati a quelli da lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che ivi trasferiscono la residenza fiscale, entro il limite annuo di 600.000 euro concorrano alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro ammontare.

Si dispone anche che i suddetti redditi concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura ridotta del 40% del loro ammontare nei seguenti casi:

  1. il lavoratore si trasferisce in Italia con un figlio minore;
  2. in caso di nascita di un figlio ovvero di adozione di un minore di età durante il periodo di fruizione del regime agevolativo. In tal caso, il beneficio in parola è fruito a decorrere dal periodo d’imposta in corso al momento della nascita o dell’adozione e per il tempo residuo di fruibilità dell’agevolazione.

Viene previsto che limitatamente ai soggetti che trasferiscono la loro residenza anagrafica nell’anno 2024 l’agevolazione si applica per ulteriori tre periodi di imposta nel caso in cui il contribuente è divenuto proprietario, entro la data del 31 dicembre 2023 e, comunque, nei dodici mesi precedenti

periodo durante il quale si può fruire del nuovo regime degli impatriati. In tal caso i redditi derivanti dall’attività lavorativa prestata in Italia, negli ulteriori tre periodi di imposta, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro ammontare.

Quanto alla decorrenza del nuovo regime degli impatriati, si precisa che lo stesso si applica in favore dei soggetti che conseguono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2024.

A decorrere da tale data sono abrogate le disposizioni che hanno istituito il regime agevolativo in favore dei lavoratori impatriati (art. 16 del DLgs n. 147/2015 e e art. 5, co. 2.bis, 2.ter e 2. quater del DL n. 34/2019, le quali comunque continuano a trovare applicazione per i soggetti che hanno conseguito la loro residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023, ovvero, per i rapporti di lavoro sportivo, che hanno stipulato il relativo contratto entro la stessa data.

Reshoring: trasferimento in Italia delle attività economiche

Al fine di promuovere lo svolgimento nel territorio dello Stato italiano di attività economiche,  viene previsto che i redditi derivanti da attività d’impresa e dall’esercizio di arti e professioni esercitate in forma associata, svolte in un Paese estero non appartenente alla UE o allo SEE, trasferite nel territorio dello Stato, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi (IRES/IRPEF) e IRAP per il 50% del relativo ammontare nel periodo d’imposta in corso al momento in cui avviene il trasferimento e nei 5 periodi d’imposta successivi.

Non possono invece beneficiare della detassazione in parola, le attività esercitate nel territorio dello Stato nei 24 mesi antecedenti il loro trasferimento; tale preclusione è finalizzata ad evitare che società residenti in Paese extra-UE già operanti in Italia, strumentalmente ritrasferiscano all’estero le loro attività economiche per poi nuovamente reinsediarsi nel territorio dello Stato per beneficiare dell’agevolazione stessa.

Ai fini della determinazione dei redditi che possono fruire della detassazione del 50%, il contribuente è tenuto a mantenere separate evidenze contabili idonee a consentire il riscontro della corretta determinazione del reddito e del valore della produzione netta agevolabile.

La detassazione in parola viene meno se nei 5 periodi d’imposta o 10 se si tratta di grandi imprese successivi alla scadenza del regime di agevolazione (6 periodi d’imposta) il beneficiario dello stesso trasferisce, anche parzialmente, fuori da territorio dello Stato (quindi in Paese UE, extra-UE o aderenti allo SEE), le attività in precedenza trasferite in Italia. In tal caso, l’Amministrazione finanziaria recupera le imposte non pagate durante il periodo agevolativo, oltre che gli interessi.

In altri termini, per non perdere il beneficio fiscale occorre che le attività economiche “restino” in Italia per 11 anni (16 nel caso di grandi imprese).

L’efficacia delle disposizioni è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea

Global minimum tax

Le possibilità di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili vengono ridotte attraverso l’imposizione minima effettiva, affinché i maggiori gruppi multinazionali di imprese versino un’aliquota minima di imposta sulle società in attuazione della direttiva UE 2022/2523, adottata all’unanimità con il voto favorevole di tutti gli Stati membri.

L’imposizione minima globale si fonda su un triplice livello di tassazione: (i) un’imposta minima nazionale, che gli Stati hanno la facoltà di introdurre sulla base della direttiva, e che colpisce le imprese di un gruppo multinazionale o nazionale e le entità a controllo congiunto localizzate nel territorio dello Stato italiano assoggettate ad un livello di tassazione effettiva inferiore alla aliquota minima di imposta del 15%; (ii) un’imposta minima integrativa cui è assoggettata la controllante capogruppo di un gruppo multinazionale o nazionale localizzata nel territorio dello Stato italiano che, in un dato esercizio, è soggetta ad una tassazione effettiva inferiore al 15% ovvero che ha detenuto, in qualsiasi momento dell’esercizio, direttamente o indirettamente partecipazioni in imprese a bassa imposizione localizzate in un altro Paese o che sono entità apolidi; (iii) un’imposta minima suppletiva cui sono soggette, in forma tra loro solidale e congiunta, tutte le imprese localizzate nel territorio dello Stato italiano, diverse dalle entità di investimento, nel caso in cui la controllante capogruppo localizzata in un Paese terzo che non applica una imposta minima integrativa equivalente ovvero è una entità esclusa. Tale imposta è di un importo pari all’imposizione integrativa attribuita, per l’esercizio, allo Stato italiano.

La disciplina recepisce tutte le disposizioni concernenti il calcolo sia del reddito rilevante che della tassazione effettiva da prendere in considerazione al fine di valutare se ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’imposta nonché per la determinazione dell’aliquota della stessa.

L’Italia ha inteso introdurre un’imposta minima nazionale che è l’unica imposta cui vengono prudenzialmente riconosciuti effetti di gettito, in quanto l’imposta minima integrativa (IIR) sarà effettivamente dovuta dalla controllante italiana, solo nel caso in cui le giurisdizioni estere in cui sono localizzate le società controllate non dovessero introdurre un’imposta minima nazionale equivalente.

Allo stesso modo l’imposta minima suppletiva sarebbe applicabile, e produrrebbe quindi gettito, solo alla duplice condizione che il Paese in cui si trovano imprese di un gruppo multinazionale non introduca un’imposta minima nazionale qualificata (Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax - QDMTT) e che nel Paese della capogruppo non venga applicata l’imposta minima integrativa (IIR).

Inoltre, la scelta italiana di introdurre un’imposta minima nazionale rispettosa dei principi fissati dall’OCSE, fa sì che il gruppo multinazionale possa esercitare, con riferimento alle imprese localizzate in Italia, l’opzione del “porto sicuro” (safe harbour), che consente di considerare pari a zero l’imposizione integrativa dovuta dal gruppo (italiano o estero) in relazione alle imprese localizzate in Italia che hanno pagato l’imposta minima nazionale.

RDP

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