Cessioni intra-UE “indirette”: sanzione pari al 50% del tributo senza la prova del trasferimento fisico del bene

26 Febbraio 2024

Cessioni intra-Ue di beni con trasposto a cura del cessionario o di un terzo per suo conto: se il bene non risulta pervenuto in un altro Stato UE entro 90 giorni dalla consegna si applica in capo al cedente una sanzione pari al 50% dell’imposta.

È questa una delle novità contenuta nella bozza di riforma del sistema sanzionatorio, approvata in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, il 21 febbraio 2024.

Intervenendo in maniera significativa sul disposto dell’art. 7 del DLgs n. 471/1997, il legislatore delegato, infatti, ha rimodulato il sistema delle sanzioni previste per le esportazioni, estendendo parte delle previsioni in esso contenute anche alle cessioni intra-UE di beni.

Nuovi requisiti per le cessioni intra-UE

La Direttiva n2018/1910/UE del 4 dicembre 2018, modificando l'art. 138 della Direttiva 2006/112/CE ("Direttiva IVA"), ha ridefinito i requisiti in presenza dei quali una cessione che si qualifica come intracomunitaria può beneficiare del regime della non imponibilità IVA.

In particolare, il par. 1 del suddetto art. 138 dispone che gli Stati membri “esentano” (in Italia l’esenzione è stata declinata come “non imponibilità”) le cessioni di beni spediti o trasportati fuori dal territorio dello Stato dal venditore o dall’acquirente o da un terzo per loro conto, solo se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

  • sia il cedente che il cessionario sono soggetti passivi;
  • la merce oggetto della cessione viene trasportata o spedita da uno Stato membro a un altro;
  • si abbia il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sui beni ceduti;
  • la cessione si realizza a titolo oneroso;
  • il cessionario soggetto passivo o ente non soggetto passivo destinatario della cessione deve essere identificato ai fini IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente detto numero, il quale deve essere indicato in fattura.

Inoltre, il successivo par. 1-bis stabilisce che il regime della non imponibilità si applica se il cedente abbia rispettato l’obbligo di presentare gli elenchi riepilogativi INTRASTAT, a meno che questi non possa debitamente giustificare la sua mancanza secondo modalità ritenute soddisfacenti dalle Autorità competenti.

Tali previsioni sono state recepite nell’art. 41, comma 2-bis, del DL n. 331/1993.

Prova del trasferimento dei beni da uno Stato UE ad un altro

Con specifico riferimento al trasferimento fisico della merce da uno Stato UE ad un altro, a partire dal 1° gennaio 2020, l’art. 45-bis del Reg. 282/2011 reca la presunzione in base alla quale ai fini dell’esenzione (non imponibilità IVA) di cui all’art. 138 della Direttiva IVA, nell’ambito delle cessioni intracomunitarie, i beni si considerano spediti o trasportati dal territorio di uno Stato UE a un altro, laddove venga prodotta la seguente documentazione.

Nel caso in cui il trasporto sia curato dal cedente o da un terzo per suo conto: il venditore deve certificare che i beni sono stati spediti o trasportati da lui o da un terzo per suo conto e deve essere in possesso di almeno due dei seguenti elementi di prova non contraddittori rilasciati da parti diverse ed indipendenti dal venditore o dall’acquirente, quali:

  1. documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, ad esempio un documento o una lettera CMR firmato; una polizza di carico; una fattura di trasporto aereo; una fattura emessa dallo spedizioniere, ovvero di uno qualsiasi dei suddetti elementi di prova in combinazione con uno qualsiasi dei seguenti elementi di prova non contraddittori che confermano la spedizione o il trasporto rilasciati da due parti diverse e indipendenti dal venditore o dall’acquirente; quali:
  2. una polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o i documenti bancari attestanti il pagamento per la spedizione o per il trasporto dei beni; documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, per esempio da un notaio, che confermano l’arrivo dei beni nello Stato membro di destinazione; una ricevuta rilasciata da un depositario che confermi il deposito dei beni in tale Stato membro.

Diversamente nel caso in cui i beni siano trasportati dal cessionario direttamente o da un soggetto terzo per suo conto: il cedente deve essere in possesso di una dichiarazione scritta dall’acquirente che certifica che i beni sono stati trasportati o spediti e che identifica lo Stato membro di destinazione dei beni e di almeno due degli elementi di prova di cui alla suddetta lett. a) o di uno qualsiasi degli elementi di cui alla lett. a) e di uno qualsiasi degli elementi di prova di cui alla lett. b).

Ed è proprio con specifico riferimento a questa seconda fattispecie, che il legislatore delegato ha introdotto uno specifico regime sanzionatorio.

Mediante la modifica apportata all’art. 7, co. 1 del DLgs n. 471/1997, viene, infatti, previsto che è punito con una sanzione pari al 50% dell’IVA, chi effettua cessioni intra-UE di beni, qualora il bene sia trasportato in un altro Stato membro dal cessionario o da un terzo per suo conto e il bene non risulti pervenuto in detto Stato entro 90 giorni dalla consegna.

Tale norma ancora al pari di quanto previsto per le esportazioni – dal medesimo art. 7, co. 1 – la decorrenza del termine dei 90 giorni dalla data di consegna dei beni e non dalla data della fattura.

Pertanto, qualora non si ottenga la prova che il bene sia pervenuto in altro Stato UE ovvero la stessa pervenga oltre i 90 giorni dalla data di consegna, il contribuente incorre nella sanzione dal 50% del tributo, a meno che entro i successivi 30 giorni dallo spirare dei 90 giorni successivi alla consegna non provveda alla regolarizzazione della fattura ed al versamento dell’imposta.

Mutuando quanto indicato in tema di “esportazioni indirette” si potrebbe al pari sostenere con specifico riferimento alle cessioni intra -UE che il termine dei 90 giorni (o tre mesi) è da considerarsi «non essenziale», richiamando i dettami espressi dai giudici unionali nella sentenza 19 dicembre 2013 relativi alla causa C-563/12, ove si legge che «gli articoli 146, paragrafo 1, e 131 della direttiva 2006/112/CE non consentono che una normativa nazionale, nell’ambito di una cessione all’esportazione, ponga la condizione secondo cui il superamento del termine per l’uscita dei beni dal territorio dell’Unione di tre mesi o di 90 giorni successivi alla data di cessione ha la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione riguardo a tale cessione».

Tale orientamento è stato recepito dall’Agenzia delle entrate con la R.M. del 10 novembre 2014, n. 98/E, ove sono state precisate nel dettaglio le modalità da attuare per la regolarizzazione l’emissione della fattura senza IVA e recuperare l’IVA versata, tramite:

  • emissione di una nota di variazione ex articolo 26, secondo comma, del DPR n. 633/1972, entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno successivo a quello in cui è avvenuta l’esportazione;
  • in alternativa, il contribuente potrà sempre azionare la richiesta di rimborso ai sensi dell'articolo 21 del DLgs n. 546/1992, entro il termine di due anni dal versamento o dal verificarsi del presupposto del rimborso.

Si segnala, infine, che laddove la merce risulti trasferita in altro Stato UE oltre i 90 giorni ma, comunque, entro i 30 giorni previsti, ai fini della regolarizzazione, dall'articolo 7, comma 1, del DLgs n. 471/1997, e si abbia prova dell’avvenuto trasferimento, il contribuente potrà esimersi dal versamento dell'imposta senza per questo incorrere in alcuna violazione sanzionabile.

RPD

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